Virginie contro il Leviatano: intervista a cura di Ariane Bilheran 1/2
- Ariane Bilheran

- 16 lug 2023
- Tempo di lettura: 12 min
La Lucarne, d'A. Bilheran, in Antipresse 398, 16 juillet 2023.
Come si può definire un regime che ritiene gli avvocatri complici dei crimini imputati ai loro clienti? Un regime che criminalizza l’espressione di opinioni divergenti, che manda i suoi servizi speciali ad arrestare i dissidenti nelle prime ore del mattino, che li «tormenta» in segreto e requisisce arbitrariamente le loro documentazioni?
Troviamo alcune risposte in questa intervista sconvolgente di Ariane Bilheran.
Per l’Antipresse, ho voluto raccogliere la testimonianza dell’avvocato Virginie de Araùjo-Recchia, la cui situazione è emblematica della deriva totalitaria alla quale ci troviamo di fronte, che non soltanto mette in pericolo l’indipendenza degli avvocati, ma anche la stessa difesa di ogni cittadino inviso al potere per un semplice reato d’opinione. L’avvocato francese Virginie de Araùjo-Recchia, conferenziere, autrice del rapporto «Dictature 2020. terrorisme d’Etat, atteinte aux intérets fondamentaux de la Nation et crime contr l’humanité» («Dittatura 2020, terrorismo di Stato, minaccia contro gli interessi fondamentali della Nazione e crimine contro l’Umanità», Ndt.) (nov. 2020) e di «La protection des mineurs face à l’idéologie totalitaire. Education sexuelle et changement de moeurs» («La protezione dei minori contro l’ideologia totalitaria. Educazione sessuale e cambiamento dei costumi», Ndt.), è membro di un collegio di avvocati internazionali che ha dato vita alla Corte internazionale di pubblica opinione e ha preso parte alle sedute del Grand Jury.

Durante gli ultimi tre anni ha organizzato più di venti iniziative a favore di individui, associazioni e sindacati, sia a livello nazionale che a livello europeo e internazionale, in difesa delle libertà pubbliche e dei diritti fondamentali. Ricordo ai lettori che l’avvocato Virginie de Araùjo-Recchia ha tenuto un discorso magistrale al convegno di Lisbona di settembre 2022 (vedi «La conjuration portugaise» AP355), ed è intervenuta per fornire il suo commento da esperta al convegno «La dérive totalitaire sur les enfants» («La deriva totalitaria e i bambini», Ndt.) che ho organizzato insieme a Amandine Lafargue il 13 maggio 2023 a Parigi (vedi Ariane Bilheran: «La face cachée du transhumanisme: le totalitarisme sexuel», AP382).
In questa intervista esclusiva, l’avvocato ci parla del suo arresto da parte della DGSI (Direzione Generale per la Sicurezza Interna) (servizio di intelligence operativo in Francia, Ndt.), che si definisce come «l’unico servizio specializzato di intelligence francese che fa capo al ministero dell’Interno nell’ambito della Comunità nazionale di intelligence», le cui missioni sono «la lotta contro ogni attività suscettibile di costituire una minaccia per gli interessi fondamentali della Nazione e per la sicurezza nazionale. Le sue missioni principali sono la lotta contro il terrorismo, la repressione di ogni forma di ingerenza straniera, la protezione del patrimonio economico e scientifico della Nazione, la lotta contro la minaccia cibernetica e la proliferazione delle armi di distruzione di massa.»
Vedremo qui in quale misura la mobilizzazione di un tale apparato contro un avvocato nell’esercizio delle sue funzioni rientri ancora nello Stato di Diritto.
PRIMA PARTE
Cosa è successo esattamente quando Lei è stata arrestata lo scorso anno, arresto di cui i media ufficiali hanno parlato abbondantemente?
Stavo redigendo, per conto di un’associazione, una denuncia su diversi fatti relativi a derive settarie e crimini contro l’umanità, che coinvolgevano un partito politico. Avevo appena partecipato alle sedute del Grand Jury insieme a una equipe di avvocati internazionali, con lo scopo di accertare le responsabilità nel quadro della crisi Covid, grazie agli interventi di diversi professionisti specializzati in diversi campi (tra i quali, Lei, come esperta in psicologia).
Il 22 marzo 2022, alle 6e40 del mattino, dodici persone arrivate a bordo di sei automobili hanno fatto irruzione nel nostro giardino. Hanno bussato forte alla porta, erano pronti a utilizzare un ariete. C’erano due giudici istruttori, la rappresentante del presidente dell’Ordine degli Avvocati, due investigatori della DGSI incappucciati, un altro poliziotto di un altro corpo, anche lui incappucciato, due donne poliziotto della DGSI non incappucciate, due informatici investigatori e due persone che non si sono presentate (e che non mai più rivisto). Mi piacerebbe sapere chi erano quelle due persone, me lo sto chiedendo ancora oggi: erano forse due giornalisti?
I due giudici istruttori (ho scoperto più tardi che si trattava di due giudici istruttori dell’anti terrorismo), si sono messi a frugare nei miei dossier personali e professionali senza che il rappresentante dell’Ordine degli avvocati intervenisse, contrariamente a ciò che è previsto nel caso di perquisizione dell’ufficio di un avvocato. Tutto è stato esaminato minuziosamente, documenti contabili, documenti personali, bancari, fotografie di famiglia, archivi, quaderni, articoli di stampa alternativa che uno dei giudici istruttori ha ritenuto essere prove a carico e che ha conservato.
Poi, hanno messo in atto un sistema per controllare tutto il materiale informatico e telefonico che utilizzavo, così come quello di mio marito. La gran parte è stata messa sotto sigillo, senza che sia stato consultato un esperto per prelevare soltanto quello che era relativo a un dossier, cioè il dossier che riguarda il mio cliente M. Rémy Daillet. Da notare che quel giorno, nonostante i servizi mi abbiano restituito una parte del mio materiale, due computer sono stati danneggiati e un disco fisso originale del mio ufficio non mi è mai stato reso (ne ho soltanto una copia).
Al contrario, mio marito, che non è colpito dall’ordine di perquisizione e che è estraneo all’affare, non ha recuperato il suo materiale, tra cui il suo computer e il suo cellulare, nonostante che, essendo un autore, qualcuno dei suoi lavori è presente soltanto sul computer in questione.
Ormai è passato più di un anno. Mio marito ha inviato una richiesta al giudice istruttore per recuperare il suo materiale, ma quest’ultimo ha rifiutato, nonostante mi avesse assicurata durante la mia detenzione, in presenza della rappresentante dell’Ordine degli avvocati, che avrebbe reso il materiale entro quindici giorni.
Oggi, dunque, in Francia si può entrare con la forza in casa di un individuo e prelevare del materiale senza restituirlo nemmeno dopo un anno. Secondo voi, a cosa somiglia tutto questo?
Mio marito non è coinvolto in questa azione legale e nemmeno io sono parte in causa (non sono sotto esame, né testimone protetto). Penso che si tratti di una mera volontà di nuocere e intimidire, considerando che mio marito è un autore di satira, che uno dei giudici ha dichiarato di conoscere la sua serie «Restez couchés!» e che sapeva che il sequestro del suo materiale professionale lo avrebbe messo in difficoltà. Di conseguenza, non ha più una rubrica telefonica famigliare o professionale. E’ scandaloso, ma è così che funziona, oggi, in Francia.
Dopo questa perquisizione del nostro domicilio e della nostra auto, che è avvenuta davanti ai nostri bambini piccoli (ho fatto tutto il possibile perché restassero nella loro camera e non vedessero la loro madre circondata da uomini incappucciati, ma la perquisizione è stata troppo lunga per poterli tenere al riparo da questa intrusione traumatica, da questa violazione del loro ambiente domestico e delle loro stesse camere), mi hanno portata nel mio ufficio, a Parigi, dove non è stato trovato nulla, quindi a Levallois Perret, nei locali della DGSI, a 130 kilometri da casa. Per diverse ore nessuno è stato in grado di sapere dove fossi.
Cosa c’è di nuovo nell’attuale modo di operare della DGSI?
Innanzitutto, considerata la scarsa rilevanza del fascicolo, avrei potuto semplicemente essere convocata per rispondere alle domande degli investigatori della DGSI. Non era necessario che una dozzina di persone venissero a casa mia, che mi facessero una perquisizione, come avvocato, e che mi tenessero in custodia cautelare per sessanta ore per interrogarmi. Il segreto professionale e il segreto della corrispondenza e degli scambi tra avvocato e cliente in «democrazia» devono essere rispettati.
Quindi, nei sotterranei della DGSI sono stata vittima di varie tecniche di umiliazione che avevano lo scopo di farmi perdere i miei riferimenti e il mio amor proprio; non entrerò nei dettagli, ma sono stata incappucciata durante i continui spostamenti tra i suddetti locali e il tribunale giudiziario di Parigi; ho trascorso una parte della custodia preventiva dentro una cella fredda illuminata da luci al neon e priva di igiene, nonostante le mie richieste. Ho alternato tra la cella, le manette e gli interrogatori grotteschi, che sono durati una decina di ore in tutto, nonostante che, come avvocato, il segreto professionale e il segreto della corrispondenza e degli scambi mi impedissero di rivelare il contenuto del fascicolo del mio cliente, ad eccezione degli elementi strettamente necessari alla difesa di me stessa.
Voglio ricordare che un essere umano ha diritto al rispetto della sua dignità, soprattutto se non è imputato di nulla: sarebbe bene che i funzionari imparassero bene questo principio fondamentale, ma ho sentito che umiliarmi era un ordine, e anche fonte di godimento.
Come è stato il Suo interrogatorio e quali sono, oggi, le sue conseguenze?
Dall’inizio dell’interrogatorio mi è stato detto che venivo perquisita, guardata a vista e interrogata non come avvocato, ma come individuo. Questo mi ha sorpresa, sapendo che ero l’avvocato della persona sotto inchiesta, così come del suo partito politico in via di formazione.
Ero anche l’avvocato di un collettivo di forze dell’ordine che si occupavano della salvaguardia della libertà dei Francesi, a proposito del quale l’investigatore ha voluto interrogarmi, nonostante i membri di questo collettivo non avessero a priori nulla a che fare con l’altro dossier, almeno che io sappia. Questo collettivo non ha mai avuto alcun altro scopo, se non quello di informare i membri delle forze dell’ordine e la popolazione, e di organizzare delle manifestazioni a questo proposito.
Non c’è davvero alcun elemento che possa renderli sospetti di atti terroristici, anche perché si tratta di rappresentanti dell’ordine pubblico.
Quindi ho mantenuto la mia posizione, secondo la quale, dal momento in cui vengo ascoltata come avvocato e unicamente in quanto avvocato, nel campo esclusivo del Diritto, secondo quale acrobazia giuridica mi si considerava come un individuo complice di un’azione terroristica?
Ed è stato ancora più sorprendente il fatto che il mio nome come avvocato sia stato citato la mattina stessa dalla stampa generalista, con tanto di termini diffamatori e ingiuriosi, mentre le altre persone messe in custodia cautelare per lo stesso caso non sono state menzionate.
Il segreto istruttorio è stato allegramente infranto dai servizi coinvolti e il mio nome, la mia qualifica e la mia fotografia sono state diffuse dai media, che sono oggetto di una delle denunce che ho presentato, per conto di una associazione, contro i media e i social network che hanno manipolato la popolazione attraverso la paura, il terrore, e hanno diffuso la propaganda durante la crisi Covid.
Il mio nome, la mia foto e la mia qualifica sono state diffuse per annientarmi socialmente. Ma nel segreto degli interrogatori si trattava soltanto di me come persona, come individuo. Dal momento che mi viene rimproverato soltanto di aver prodotto analisi giuridiche e solo analisi giuridiche, per quale miracolo avrei potuto commettere o essere complice di un atto di terrorismo ai sensi dell’articolo 421-1 del Codice Penale?
Dov’è la logica? Non c’è una contraddizione di fondo?
Nel corso degli interrogatori a ripetizione, le domande che mi sono state fatte hanno dimostrato che di trattava chiaramente di accusarmi di aver commesso un reato d’opinione, perché mi è stato rimproverato tutto. Non si trattava, dunque, di una qualsiasi complicità in un’azione terroristica messa sotto inchiesta, ma della mia opposizione al regime totalitario che si stava instaurando.
Ricordo alcune delle domande che mi sono state fatte, assolutamente allucinanti:
- Lei è patriota?
- Cosa significa il termine complottista?
- Cosa ne pensa della religione musulmana?
- Cosa ne pensa della religione ebraica?
- Cosa pensa delle antenne 5G?
- Cosa pensa della pedofilia?
- Cosa pensa della massoneria?
- Lei crede che i ministri facciano parte di reti pedofile?
- Cosa pensa di Emmanuel Macron?
- Quali sono le misure che la spingono ad affermare che si tratta di crimini contro l’umanità?
- Cosa è il nuovo ordine mondiale?
Dopo una decina di ore d’interrogatorio, a un certo punto l’investigatore mi ha presentato una prova che dimostrava che M. Rémy Daillet era mio cliente (una mail con le formule convenzionali utilizzate tra avvocato e cliente, uno studio di un progetto di legge con un commento giuridico). Il mio collega incaricato della mia difesa ha richiesto immediatamente l’intervento del presidente dell’Ordine degli avvocati. Eravamo stupefatti, sia per le domande che mi facevano, sia per il sotterfugio utilizzato per interrogarmi senza che io potessi opporre il segreto professionale e il segreto della corrispondenza.
In ogni caso, non avevo nulla da dichiarare circa il mio cliente. Ho continuato a ripetere che il suo partito politico era in via di formazione, che avevo presentato diversi fascicoli per suo conto, tra i quali la trasmissione della mia relazione, redatta indipendentemente a novembre 2021, all’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani. Sappiamo cosa ne è stato di queste organizzazioni oggi, ma allora il mio cliente era convinto che quello potesse essere il punto di partenza per una azione penale a livello internazionale.
L’inquirente, il procuratore e i giudici istruttori avevano, dunque, la prova fin dall’inizio che questo signore era mio cliente e che agivo in qualità di avvocato. Con la perizia sui miei dati informatici hanno potuto trovare anche altri elementi giustificativi che hanno confermato le mie dichiarazioni iniziali, senza che io venissi mai ascoltata a tale proposito.
Dopo la presentazione di questa prova sono stata rimandata in cella, sempre ammanettata. Prima di un nuovo interrogatorio, sono stata liberata, senza spiegazioni e senza rivedere il giudice istruttore. Mi hanno accompagnata alla fermata della metro. Mi trovavo in uno stato deplorevole, completamente frastornata. Due colleghi mi hanno aiutata a recuperare il mio materiale informatico che mi è stato reso senza alcuna protezione e mio marito ha dovuto venire a prendermi.
In seguito, ci sono state diverse udienze davanti al giudice delle libertà e della detenzione e in presenza del procuratore, del giudice istruttore e del rappresentante del presidente dell’Ordine degli avvocati circa il sequestro dei miei dati, che abbiamo contestato fin da subito.
E’ stato nominato un esperto per fare una ricerca secondo parole chiave, tra le quali alcuni nomi di giornalisti, soprattutto quello di M. Attali, che è stata sorprendente. Come risultato della perizia è stato verificato che non c’era nulla che rivelasse un’infrazione. In piena udienza, il rappresentante del presidente dell’ordine degli avvocati ha affermato che in tali circostanze, la stessa perquisizione poteva essere messa in questione.
Alla domanda di quale fosse lo scopo della perquisizione e della custodia cautelare il giudice istruttore ha risposto che era sempre interessante accedere ai fascicoli di un avvocato, e che aveva bisogno di delineare il mio «profilo psicologico» (sic).
Il giudice istruttore mi ha qualificata come complottista, come QAnon, soprattutto durante le udienze, senza che nessuno avesse da obiettare, sebbene fino a prova contraria non si tratti di qualifiche giuridiche. Sembrerebbe che la neolingua si sia infiltrata in seno alla Giustizia francese, là dove ci si aspetterebbe rigore, metodo e razionalità.
Io rifiuto queste qualifiche che, come Lei dice, da marzo 2020 sono servite per dequalificare e disonorare gli altri, senza tener conto dell’analisi risultante dai fatti, soprattutto dal momento che la persona che le pronuncia non sembra avere alcuna nozione dei temi sui quali lavorate da mesi collaborando con esperti di tutto il mondo.
Dopo la perizia, il giudice istruttore ha affermato anche che mi ero dimostrata particolarmente ostile nei confronti di Jacques Attali e che mi adoperavo nella lotta contro la pedofilia internazionale (tema che non avevo ancora affrrontato nelle mie ricerche, da notare che queste accuse, da allora, mi hanno spinta ad interessarmene!) Ero stupefatta. Nessuno dei miei dati, provenienti dalle relazioni peritali o dalle mie affermazioni pubbliche gli permettevano di pronunciare simili accuse. E’ assolutamente falso, e nonostante questo è riportato nel fascicolo. Si tratta di una alterazione fraudolenta della verità. Forse questo permette di trasmettere un messaggio agli altri magistrati affinché il mio fascicolo sia trattato sotto un certo aspetto? Io me lo sto chiedendo.
Dunque, abbiamo contestato il sequestro di altri elementi che il giudice istruttore voleva inserire nel fascicolo (documenti relativi ad altri dossier, scambi tra giuristi, fotografie dei miei figli contenute in uno scambio scritto con mio marito, versioni digitali di libri, come quello di Claire Séverac, che mi avevano mandato, la mia relazione pubblica, tra gli altri).
Questa richiesta non è stata assolutamente motivata dal giudice istruttore. Gli elementi non sono stati controllati uno per uno, sebbene io avessi contestato il sequestro davanti al giudice delle libertà e della detenzione il quale, nonostante questo, ha pronunciato una decisione a favore della richiesta del giudice istruttore.
Dunque, abbiamo portato avanti il procedimento dinanzi al presidente della camera d’istruzione della Corte d’appello di Parigi che durante l’udienza mi ha rimproverata di utilizzare diversi indirizzi mail e di diffidare di Google, e ha rifiutato la mia qualifica di avvocato nel contesto di questa causa.
Voglio precisare che durante le udienze ho scoperto che l’operazione nella quale dovevo essere implicata riguardava non soltanto delle persone (che non sono mai menzionate nei miei dati peritali), ma anche un attacco contro il tempio della massoneria!
La risposta del giudice istruttore: si, abbiamo trovato una ricerca su internet. Dunque, gli ho chiesto se questo era sufficiente e lui mi ha risposto che non intendeva discutere con me.
Chiaramente, discutere con un avvocato che si occupa di crimini contro l’umanità e di attacchi bioterroristici (che sono, tra l’altro, una delle attività specifiche della procura antiterrorismo), è assolutamente inconcepibile!
Per contro, mi ha minacciata di rimettermi in custodia cautelare, dato che mancavano ancora alcune ore al termine previsto. Ricordo che non sono indagata né sono un testimone protetto, ciò non di meno i miei dati sono stati sequestrati con lo scopo evidente di spaventarmi e di raccogliere informazioni.
Il pregiudizio, sia nel confronti della mia professione, sia a livello individuale, è manifesto.
Pro-memoria: Intervento dell’avvocato Virginie de Araújo-Recchia a Lisbona, il 9 settembre 2022

Ariane Bilheran, normalista (Ulm), filosofa, psicologa clinica, dottore in psicopatologia, specializzata nello studio della manipolazione, della paranoia, della perversione, della molestia e del totalitarismo.
Razionale e metodica, ma anche musicista e poeta, Ariane esplora le profondità dell’anima umana con lo stesso ardore e pazienza di chi contempla le stelle per penetrare nei misteri dell’universo. In l’Antipresse, tiene la sua rubrica, La Lucarne, ma anche L’Abecedario del totalitarismo e i Ritratti.
La Lucarne di Ariane Bilheran in Antipresse
«C’è una crepa in tutte le cose, ed è da li che entra la luce», cantava Leonard Cohen. Di queste crepe, Ariane ha tratto delle lucerne, per ricevere la luce del mondo e per proiettare sul mondo la luce dello spirito. La Lucarne di Ariane è uno scambio coinvolgente e appassionante tra lo spirito e la materia, tra l’armonia e la dissonanza, la gioia e il dolore – in breve, un tuffo nel cuore del mondo.










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